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di Prof.ssa, Gabriella Pravettoni, Direttore Psiconcologia, IEO
Essere portatore di una mutazione genetica associata a patologie oncologiche non significa essere destinati ad ammalarsi di tumore, ma essere esposti a un rischio maggiore che ciò accada.
Tuttavia il risultato genetico rappresenta spesso per il soggetto “mutato” una sorta di “difetto biologico” irrimediabile e trasmissibile anche alla futura prole.
La conoscenza di tale informazione talvolta separa un “prima” nella propria storia di vita, fatto di progettualità, e un “dopo” connotato dall’incertezza, creando una frattura identitaria.
Da un punto di vista psicologico affrontare il rischio di malattia può essere fonte di isolamento, colpa, rabbia, tristezza, ansia e paure per sé e i propri cari.
Le ripercussioni psicologiche del test genetico risultano importanti sia per il paziente sia per i suoi familiari diretti, e sono mediate dal risultato ottenuto al test, dalle precedenti esperienze personali o familiari di malattia, e dalle caratteristiche individuali dei soggetti che vi si sottopongono. Esistono delle componenti di vulnerabilità psicologica, come l’elevata percezione di rischio di malattia, lutti significativi non elaborati, disturbi di adattamento legati alla propria storia di malattia, e soprattutto l’età e la specifica fase del ciclo di vita in cui si trova la persona quando si sottopone al test e viene informata della propria predisposizione genetica.
Tutti questi elementi devono essere adeguatamente valutati poiché potrebbero influire sia sugli aspetti relazionali sia sugli aspetti decisionali relativi alla gestione del rischio e della comunicazione con i familiari.
D’altra parte la consapevolezza del proprio rischio aumentato può aiutare i portatori di mutazione a prendere decisioni terapeutiche preventive come la sorveglianza regolare, la chirurgia profilattica o la chemioterapia preventiva.
Sulla base di questi presupposti, è fondamentale la presa in carico multidisciplinare della persona considerata a rischio.
Oncologi, genetisti, psicologi, e chirurghi, lavorano in team per aiutare i soggetti portatori di mutazione a gestire il rischio di ammalarsi e a modulare le loro reazioni emotive.
Lo psico-oncologo può aiutare a comprendere con più esattezza le informazioni fornite dagli altri professionisti, e accompagnare i soggetti mutati verso decisioni informate e personalizzate, promuovendo un’adesione consapevole a trattamenti profilattici per abbattere il rischio o programmi di screening e monitoraggio.
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