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9 settembre, 2020

Identificato il biomarcatore all’origine dell’occlusione del bypass

Al Monzino è stato identificato il biomarcatore in grado di predire, paziente per paziente e prima dell’intervento chirurgico, il rischio di occlusione del bypass aortocoronarico, fornendo al cardiochirurgo lo strumento per ottimizzare la terapia farmacologica e quindi il risultato dell’operazione.

La scoperta, pubblicata sulla prestigiosa rivista JACC, Journal of the American College of Cardiology, è il risultato di una ricerca condotta dall’Unità di Biologia cellulare e molecolare cardiovascolare del Centro Cardiologico Monzino, diretta dalla Prof.ssa Marina Camera (nella foto accanto, ndr), docente di Farmacologia presso l’Università degli Studi di Milano.

Dopo un intervento di bypass i pazienti assumono farmaci specifici allo scopo di rendere più fluido il sangue, proprio per ridurre il rischio di occlusione. Si tratta generalmente di una terapia antiaggregante a base di aspirina, che nella maggior parte dei casi è molto efficace. Purtroppo però non per tutti è sufficiente: c’è infatti una minoranza di persone (circa il 20-25%) che a un anno dall’intervento chirurgico va comunque incontro all’occlusione del bypass.

Sappiamo da studi recenti che somministrare una doppia terapia antiaggregante, che consiste nella somministrazione di un ulteriore farmaco in aggiunta alla “classica” terapia a base di aspirina, è più efficace nel prevenire la chiusura del bypass, anche se potrebbe esporre maggiormente il paziente al rischio di sanguinamento. La doppia terapia pertanto non deve essere somministrata a tutti indistintamente, ma solo a quel 20-25% di pazienti che, avendo un rischio maggiore di occlusione, ha bisogno di una protezione in più. Il problema è “solo” capire in anticipo chi appartiene a quella percentuale in modo da intervenire con un approccio personalizzato.

«La nostra ricerca punta proprio a questo. Recentemente – spiega Marina Camera – abbiamo identificato una “firma molecolare”, una traccia di particelle piccolissime (dette “microvescicole”) presenti nel sangue, in grado di rivelare per ogni persona lo stato di attivazione delle piastrine e di produzione di trombina, due condizioni alla base dei processi che portano all’occlusione del bypass.

Questo significa che per la prima volta abbiamo a disposizione uno strumento reale per personalizzare il trattamento farmacologico dopo l’intervento di bypass aortocoronarico. La firma molecolare che abbiamo scoperto potrà aiutare il cardiochirurgo nella scelta dei pazienti da trattare con terapia antiaggregante più intensa. I risultati ottenuti sono molto incoraggianti e saranno confermati in uno studio più ampio e multicentrico che siamo già pronti a intraprendere».